RACCONTI
CENTAURO
di
Marcello Molteni
Il motore si sta
scaldando, il pulsare del bicilindrico trasversale trasmette un nervoso
movimento laterale alla moto, sorretta dall’inevitabile obbligo del
cavalletto laterale; l’asimmetria del movimento e l’andamento
sinusoidale del ronfare del motore hanno su di me il potere di un mantra
ripetuto all’infinito.
Non smetterei mai di
ascoltare quei due quintali ed oltre di materiali estratti dalle viscere
della terra e plasmati dalla forza dell’uomo, al solo scopo di
diventare un basso e vibrante animale colore antracite capace di
trasportare i sogni a 230km/h, ben oltre quanto serva per assaporare la
sensazione di volare ad un metro da terra, senza barriere che si
frappongano tra il mio corpo e tutto ciò che sta attorno.
Il rito della
vestizione è quasi completo; allaccio la fibbia del casco, infilo i
guanti, e sono già a cavalcioni dell’animale pulsante; il cavalletto
scatta all’indietro, la belva perde magicamente il suo peso e sento
che nel suo intimo mi ringrazia per averla liberata da quell’ultimo
vincolo prima di poterla cavalcare nel suo naturale e necessario stato d’equilibrio
instabile.
Un gioco di mani, piedi
e leve e la belva è agganciata al guinzaglio dell’uomo; i suoni
cambiano, metallo contro metallo, tintinnii, e poi le vibrazioni nello
stomaco e poi il movimento e poi l’assurda legge fisica che ti tiene
in piedi alla prima curva e poi…
La metamorfosi si sta
compiendo, il mitologico Centauro riprende vita; metà uomo e metà
cavallo, metà ragione e metà emozione, metà cervello e metà
macchina; una simbiosi perfetta; l’asfalto scorre sotto di me, nelle
curve più famigliari è a pochi centimetri dal mio ginocchio; la belva
mi sussurra segnali, ora incoraggianti, ora cautamente allarmati; noi
due ci conosciamo bene e soprattutto conosciamo ognuno i limiti dell’altro.
La simbiosi non si
spezza, anzi viene rafforzata chilometro dopo chilometro; supero,
incrocio e vengo superato da altri centauri; pur riconoscendoli affini
non riesco a considerarli uguali a me; probabilmente per loro è lo
stesso nei miei confronti; l’unicità dello stato in cui mi trovo è
gelosamente custodita nel mio intimo; ci saranno altri momenti per
condividere le cose; non oggi, non ora.
Un lago; il sole crea
mille scintille sull’acqua increspata e fa splendere di un bianco
abbacinante le cime delle montagne attorno coperte di neve; diminuisco
la velocità per gustarmi quello spettacolo; è uno di quei giorni che
la natura si degna di regalarci per farci capire quanto siamo piccoli al
suo confronto.
I paesini con le case
strette tra acqua e roccia sfilano ai miei lati; il tempo pare prima
rallentare, poi fermarsi, ed infine cominciare a scorrere all’indietro;
vedo un antico campanile, donne con la borsa della spesa affrettarsi
verso casa, ragazzini che giocano a pallone in un cortile, un piccolo
ponte di mattoni sotto la ferrovia sulla destra; il mio pollice spinge
quasi automaticamente un tasto e due lampadine lampeggiano.
Una massiccia
costruzione gialla a ridosso della strada amplifica il rombo della
bestia al suo passaggio e su un cancello vola l’immagine di un rapace
dorato identico a quello sul mio serbatoio; uno sguardo dove tutto è
nato otto decenni fa; due amici, un’idea, una cantina, odore d’olio
e di benzina.
Ed il resto è storia.
Marcello e la sua Moto
Guzzi V10 Centauro
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