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Racconti

 

 

Sergio Freschi detto Jejo 

 

di Giorgio Blughost Olmoti

 

Vi ricordate Sergio Freschi detto Jejo.
Più o meno così esordivo quest’estate nel forum per raccontarvi l’ennesima prodezza di questo mio fraterno amico e della sua instancabile T5 che ha abbondantemente superato i trecentomila. E ora rinnovo la sollecitazione mnemonica. All’inizio avevamo pensato con Jejo di scrivere al volo un resoconto, subito dopo le giornate di Mandello in cui lo stesso intrepido fu premiato alla cena animaguzzara. Qualcuno si ricorderà di quello sconosciuto rompicoglioni che piombò alla cena raccontando per tutta la sera di essere un accanito biemmevuista e riscuotendo il consenso che immaginerete. Solo all’atto della premiazione venne fuori la verità. Jejo è fatto così. I nostri inverni friulani sono riempiti dai racconti zingari che tutti ci portiamo addosso, mai placati dalla sete di scoprire. Il freddo ci costringe a stare aggrappati ai bicchieri davanti al fuoco che scalda nella mia casa persa tra i boschi o dentro il gabbiotto della stazione di servizio di Andrea, luogo storico del nostro esistere anche d’estate, fosse solo per l’occasione di veder passare altri viaggiatori. A un passo dalla concessionaria Guzzi che fu di Sergio. E allora abbiamo voluto che l’inverno stringesse i denti sulle manopole delle moto che comunque non smettiamo di usare e lasciar scivolare nel vostro immaginario un resoconto dell’avventura di Sergio.
Per raccontarvi questa storia Sergio mi ha passato la lettera che ha scritto a Sogi, la ragazza mongola conosciuta in un altro suo viaggio sempre col T5. Ora Sogi vive in Polonia e ho lasciato anche le ultime righe, quelle più personali, per darvi ragione di com’è Sergio tutti i giorni. Una persona eccezionale assolutamente normale. Mi rendo conto che non è molto chiaro il concetto ma se leggerete forse poi vi si accenderà la lampadina. Ci tengo a mia volta a precisare che la lettera l’ho ricopiata su file lasciandola immutata ma vale la pena raccontarvi ancora che quando Sergio viaggia verso la Polonia d’inverno lo fa su una vecchissima Seat Ibiza 900 di cui ha grande stima. I gutul sono delle merendine confezionate mongole che a Jejo piacciono da morire ma che dalla descrizione non sembrano essere molto invitanti e nemmeno molto sane. Ma in quanto a sanità nessuno di noi può scagliare la prima pietra.
Buona lettura

Giorgio Blughost Olmoti

Cara Sogi,

ho ricevuto pochi giorni fa la tua lettera. Mi ha fatto molto piacere. Mi dispiace di non averti mia ospite, spero che comunque tu abbia occasione di venire dalle mie parti quanto prima. Io sono arrivato dal mio lungo viaggio in Asia centrale il 23 luglio e ho cominciato subito a lavorare per non avere nostalgia di quelle terre là. Ti spedisco le fotografie del viaggio così potrai renderti conto di quanto belli siano quei posti. Sono in ordine cronologico. Le prime riguardano la partenza con il mio amico Giorgio che mi ha accompagnato fino al confine con la Slovenia e le varie difficoltà incontrate lungo la strada a causa delle abbondanti piogge cadute nei primi due giorni di viaggio. Quindi sono arrivato in Turchia, nel villaggio di Sanfrandolu, a un centinaio di chilometri da Ankara verso nord. Da lì sono sceso verso sud per arrivare in Cappadocia, a Goreme. La zona, con i numerosi pinnacoli e il paesaggio lunare, è fantastica. Da lì, passato per Malata, città delle albicocche (in questa zona si produce il 75% della produzione mondiale), sono arrivato sul monte Nemrut dove c’è il sito archeologico più importante della Turchia. Lasciata questa zona mi sono  trasferito fino al lago di Van e da lì attraverso il Kurdistan turco, sono arrivato in Iran e precisamente a Orumiyed. Lasciata questa città caotica e molto trafficata mi sono trasferito ad Esfahan. Questa città è bellissima come potrai vedere dalle foto, con le splendide moschee azzurre e la piazza quadrangolare e i ponti. Da Esfahan dovevo trasferirmi a Yadz, ma purtroppo, per ragioni di tempo (avevo il visto di transito e potevo rimanere il Iran solo sette giorni) ho dovuto prendere la strada del deserto in direzione  di Mashhad, verso il Turkmenistan. Il deserto del Kavir è bellissimo, ha un fascino particolare ed è caldissimo: in certi punti le temperature raggiungevano i 55 gradi. Attraversata la frontiera del Turkmenistan presso Sarakhs, sono risalito verso la capitale Asgabat e da lì, attraversando il deserto del Karakum, meno bello del Kavir ma altrettanto caldo e con frequenti tempeste di sabbia, sono giunto al Konye-Urgench, città in cui la storia è corsa per secoli e di cui rimangono splendide testimonianze nei pochi mausolei tuttora in piedi e nel minareto altissimo che si possono vedere nella grande spianata dell’antica città rasa al suolo dal tuo compatriota Gengis Kahn e dal suo degno erede Timur (Tamerlano) un secolo dopo. Dalle foto potrai vedere le tombe dei guerrieri con le ossa che sporgono e perfino qualche teschio. Da Konye mi sono trasferito in Uzbekistan presso il lago di Aral che si sta ritirando sempre di più per mancanza d’acqua visto che i due fiumi che lo alimentano, l’Amu-Darya e il Syr-Darya, non riescono a portare acqua sufficiente perché le loro acque vengono intensamente sfruttate per le coltivazioni immense di cotone e grano. Il posto è desolato, grigio, con un caldo da morire e con scarsissima vegetazione. A Monyaq, dove un tempo arrivava l’acqua, ora non ci sono che barche arrugginite in secca e un monumento che ricorda l’antica origine portuale di questa cittadina ormai abbandonata. Rimangono solo pozzi di gas, come sentinelle sulla terra brulla, unica grande ricchezza di questi luoghi. Abbandonata la zona dell’Aral mi sono trasferito a Khiva, bellissima città con monumenti splendidi e gente molto simpatica, quindi a Bukhara, altra città meravigliosa e quindi a Samarkand la mitica. In realtà quest’ultima città mi ha un po’ deluso nonostante abbia il centro storico fatto edificare da Timur quasi da togliere il fiato. A Bukhara sono stato ospite di una famiglia, gente molto buona e simpatica, mentre a Samarkand ero alloggiato in un motel bellissimo che era di proprietà di un agente turistico che sapeva perfettamente il francese e che mi ha illustrato la storia e la vita di quella regione meglio di qualsiasi libro di storia. A Samarkand ho visitato anche la tomba del profeta Daniele con il sarcofago lungo la bellezza di diciotto metri. La leggenda racconta che il suo corpo cresce di mezzo pollice all’anno e quindi la tomba deve essere sempre ingrandita. Da Samarkand sono sceso verso l’Afghanistan fino a Shakhrisabz, splendida città natale di Timur. Lasciata Shakrisabz sono salito fino a Tashkent, dove non mi sono fermato perché troppo caotica. Ho raggiunto invece la valle di Fergana, una vera isola felice, molto verde e con grandi coltivazioni di cotone, colza, patate e vigneti. La zona è incantevole anche se ci sono molti problemi dovuti alle dispute territoriali fra Uzbekistan e Khirghizistan. Il Khirghizistan è bellissimo e per certi versi ricorda la Mongolia, soprattutto per la varietà del paesaggio. Bellissime le montagne, le valli e i branchi di cavalli: I Khirghisi, come i Mongoli, sono fantastici cavalieri. Le strade erano bellissime. Ho raggiunto i 3650 metri su un passo: una meraviglia. In Khirghizistan a Bishkek, la capitale, ho incontrato in un ristorante alcuni italiani euforici per la finale del campionato del mondo di calcio. Ho pranzato con loro a base di prodotti italiani e per un giorno mi è sembrato di essere tornato a casa. Dalla capitale, peraltro ben tenuta, mi sono trasferito sul lago Issik-kul, che sembra un mare per dimensioni e profondità. Sono rimasto lì un paio di giorni per poi dirigermi verso il Kazakistan attraverso la verdissima valle di Karkara. Ho faticato parecchio su quelle strade di montagna non asfaltate e ho fatto anche i conti con un ponte trascinato via dal fiume col risultato di aver fatto sessanta chilometri di sterrato a vuoto. Comunque il Khirghizistan mi è piaciuto moltissimo, la gente è disponibilissima e il mio unico rammarico è non aver potuto comunicare meglio a causa delle difficoltà solite della lingua.. Dalla valle di Karkara sono sceso in Kazakistan. Le steppe kazake sono infinite e pochi sono i villaggi dove potersi fermare. Il Kazakistan è monotono e non ha molto da offrire. La sua capitale, Almaty, è carina però è troppo trafficata: non me la sono sentita di rimanerci perché faceva troppo caldo. Ho attraversato la steppa fino Karaghandy e Astana su di una strada perfetta, poi l’inferno. Fino a Kostanay la strada era in pessime condizioni però percorribile, dopo ho incontrato solo sterrati fino a duecento chilometri da Aktobe, dove la strada è ritornata bellissima per peggiorare dopo la città in direzione di Oral. Da lì a Atyrau un tappeto perfetto che poi è peggiorato fino ad Astrakan, in Russia. Mi sono stancato moltissimo in Kazakistan: guidavo fino a quattordici ore al giorno per percorrere meno di quattrocento chilometri. Sono rimasto senza benzina in mezzo alla steppa e ho avuto qualche problema alla moto che però non ha rallentato la mia marcia. Ho attraversato la Russia nella parte sud. A Elista casualmente ho visitato il nuovissimo monastero sede del Dalai Lama, quindi mi sono diretto verso la Crimea. Ho perso più di cinque ore per passare la dogana tra Russia e Ucraina. Mi sono fermato un paio di giorni a Yalta e Sebastopoli e quindi mi sono diretto a Odessa dove, come due anni prima di ritorno dalla Mongolia, c’erano ad attendermi i miei amici. Tre giorni di riposo e quindi il ritorno a casa con nuovi problemi alla moto risolti in Ungheria grazie a un elettrauto che mi ha messo a disposizione la sua attrezzatura e un condensatore nuovo per il mio impianto di accensione in panne.
Questo è il racconto del mio viaggio in breve. Spero che le mie foto ti piacciano. Le ho scelte tra le 2400 che ho scattato. Il viaggio è stato molto duro perché non avevo moltissimo tempo a disposizione, le strade erano spesso messe piuttosto male e troppe erano le frontiere da attraversare rallentandomi moltissimo con una burocrazia assurda e esasperante che avevo già avuto modo di sperimentare. Fortunatamente tutto è andato bene e la salute mi ha sorretto senza nessun problema. Per quanto riguarda il tuo invito a tornare in Mongolia con te non so se mi sarà possibile perché avevo in progetto per il prossimo anno di visitare la Bielorussia, Mosca, San Pietroburgo e quindi la penisola di Kola, Murmansk e la Norvegia del Nord dove non sono mai stato. Comunque nulla è deciso e se cambierò idea ti avvertirò in tempo. Mi piacerebbe moltissimo ritornare in Mongolia e ancor di più in tua compagnia ma devo fare i conti con la mia passione per i viaggi in moto alla ricerca sempre di posti nuovi. Devo fare i conti anche con le mie disponibilità finanziarie. Ho speso molto in questo ultimo viaggio e ora devo stare un po’ attento nei mesi invernali. Ci devo pensare anche se come hai detto tu i gutul li devo acquistare, costi quel che costi, perché mi piacciono moltissimo. Conto di incontrarti alla fine dell’anno quando certamente sarò in Polonia a Wroklaw e così ne potremo parlare con calma. Ti spedisco alcuni cd con della musica che spero ti piaccia e altri te ne porterò insieme ai dolci che ti piacciono tanto. Purtroppo non posso muovermi prima perché le mie domeniche sono tutte occupate dal mio impegno come coach in una squadra di calcio. Dovrò aspettare le vacanze natalizie per muovermi.
Ti mando un bacione grande grande per te e Tuguldur ed uno per la traduttrice così gentile.
A presto. Ciao ciao.

Sergio     

 

 

 

 

 

© Anima Guzzista