Le ombre sono
ancora chiare nel box angusto dove ho passato la notte. Christabel (1)
ammicca con il suo vigile occhietto rosso lampeggiante ed io, ancora
non appesantita dai fardelli dei viaggiatori, cerco di riposare in
vista della lunga cavalcata. Quando la serranda si apre ed il primo
scampolo di libertà si accende con le luci della mattina, il
fremito del risveglio mi fa pulsare, come la schiena di un marinaio che
osserva le onde di
notte, percorsa da un brivido: troppo vasto il mare, troppe miglia da
percorrere, ed io non sono più una ragazzina. Ho gambe forti,
certo, ed un cuore d'acciaio, ma la serena eleganza nel passo di una
signora, non più l'impulso feroce alla strada di una
adolescente.
Quando il bagaglio è caricato, il sole è già alto
sull'orizzonte e molte paure si sono sciolte. Si parte, finalmente. Gli
spazi si allargano rapidamente, dalle vie semideserte della
città alla grande lingua di asfalto delle autostrade, attraverso
un panorama neutro ed innaturale. Fa caldo, ed ho sete, ora. Mi fermo e
affronto la prima prova, qualcosa va storto, lo sapevo, LO SAPEVO, non
ero pronta. Ma il calore intorno a me è ancora quello di sempre,
tutti si prodigano per aiutarmi, ed io non sono una di pretese, posso
indossare gli accessori di un'altra come me, persino di una
completamente diversa da me, senza mai smettere di essere una signora.
Ed allora si riparte... Via dalla grande strada nera e lucida, verso i
nastri di asfalto chiaro, attraverso paesi, volti, boschi, i profumi
della terra.
Acolto il mio cuore che batte più lento, più robusto
tuttavia, ritmato, in accordo con l'oscillare dolce delle colline, e
punto la montagna che piano piano si definisce sull'orizzonte. Un po'
di riposo, prima di affrontare la scalata, e poi la magia della salita,
quella vera... il cuore su su fino in gola, quasi fermarsi
sull'ingresso del tornante, in equilibrio come un pendolo nel suo punto
più alto, e poi lo strappo che ti porta su contro la
gravità, con la forza della determinazione, il martellare
ostinato delle esplosioni e il respiro che si fa più svelto, ma
non affannato, in aspirazione. All'inizio mi sento un elefante,
inadeguata, carica, sgraziata e pesante; poi il ritmo viene da
sè, non è una danza frenetica, è un valzer lento
di passione, ed io posso, POSSO DAVVERO BALLARE. Il bosco si fa via via
più fitto, i lecci oscillano lenti, la sera ormai sta calando,
la strada ridiscende verso i paesi, ed io sono arrivata.
La notte è un trionfo di stelle e carezze di vento, per me è la prima notte fuori da molto tempo.
Io non sono una di città, i giorni delle passeggiate in campagna
sono giorni felici. Un incedere lento, misurato, tra gli sguardi
ammirati dei pochi passanti, è la mia linfa, l'eco della mia
voce nelle vallate silenziose, è il mio sangue. Civettare con la
natura, e poi nascondermi silenziosa per diventarne amante e figlia, e
catturarne l'essenza.
Ma è già tempo di andare, il richiamo sussurrato del mare
invita alla strada ed io sono viva. Una distesa di chilometri
attraverso passaggi di montagna ed improvvisi scorci di costa sotto di
me, poi la pancia della grande balena che sembra traghettare tra due
mondi e l'accoglienza agrodolce delle zagare, nella terra dei mille
contrasti. Il Tirreno è appena sotto di me, adesso, posso
sentirne il sale nelle folate di vento, percepirne il gusto dello
sconfinato, che ridefinisce ogni proporzione.
C'è tempo per gli altri ora, la danza solitaria diventa dapprima
di coppia, poi una allegra quadriglia sui fianchi dei Nebrodi,
attraverso panorami di una bellezza selvaggia e architetture scolpite
nel tempo. Il mondo riempie gli occhi ed i cuori dei cavalli e dei
cavalieri, la giostra gira e le mani si stringono.
Poche ore di riposo, poi un altro vento, un altro mare. Si può
(si deve!) salire ancora, e danzare, ma l'invadente personalità
del mare non mi lascia più, è tutto intorno, è
padre e rivale, abbraccia e allontana con gli umori della luna. Alle
mie spalle è l'ombra della
Montagna, come la chiamano qui, con la maiuscola che si sente nel tono
della voce. Silenzioso, inquietante il Vulcano, vivo in ogni fumoso
respiro, in ogni lacrima di fuoco, in ogni nera ferita. Elementale,
puro, perfetto. Ci avviciniamo, zigzagando come api, osservando,
annusando, eppure non ho mai la sensazione di toccarlo veramente,
neppure quando il freddo arriva, le ombre si allungano e il rosso del
fuoco diventa più vicino, più vicino... è ora di
tornare.
In un ultimo audace approccio con il mare, mi faccio trasportare nella
pancia della balena sulla strada di casa, la fettuccia rovente che
conduce in città, al tranquillo, sonnolento rifugio delle strade
conosciute. Ma non importa, perchè io ora sono Terra, io sono
Mare e sono Vulcano, e sono viva.
Io sono Galadriel.
(1) Christabel è il nome della Griso, ed il suo occhietto
lampeggiante è la lucina dell'allarme, questo solo per precisare
che non sono completamente visionario e che la polverina che mi vendono
non è proprio scarsa scarsa.
©
Anima Guzzista