RACCONTI
LA MIA FUGA CON BREVA
di Lucio Aiello
E’ la fine di
aprile del 2006, ho trascorso una settimana in Baviera con 11 amici
(Antamotoclub, Cosenza). E’ stato proprio bello,
col tempo quasi sempre sereno abbiamo attraversato il Tirolo lungo la
vecchia statale, siamo passati nella neve delle
Alpi Bavaresi fra ripidi torrenti e laghetti gelati,
abbiamo visitato i castelli di Ludwig a Schwangau (io sono quello in
alto a sinistra),
abbiamo vissuto l’accogliente vitalità di Monaco
(memorabile la serata all’Offbrauhaus) con i
suoi monumenti ed i musei.
Poi di nuovo la Romantiche strasse con i suoi borghi e
castelli, il giovane Danubio, l’incanto medioevale
di Rotheburg
ed il fascino tedesco di Norimberga.
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Siamo tutti amici, alcuni intimi, ci sono due fratelli e tre cognati,
ma nonostante l’età media (ben oltre i 50) spesso
prevale uno spirito goliardico per cui molto del viaggio
viene lasciato all’ispirazione del momento e non di rado
è l’idea più strampalata a ricevere i
maggiori consensi. E’ così che la
proposta di Francesco, il più giovane del gruppo
(perché non andiamo a trovare mia cugina, che ha un
ristorante a Stoccarda?) viene presa in seria considerazione e,
nonostante le proteste di Ettore (l’altro guzzista del
gruppo) e mie, approvata con una schiacciante maggioranza.
Dopo una mattinata di sole per le vie e le piazze di Norimberga ci
trasferiamo velocemente a Stoccarda mentre il cielo si
riempie di nuvole (e il mio umore pure).
La cugina di Francesco è molto gentile e ci ospita a cena,
la serata continua in un luna park e poi in una birreria piena di
ragazzi, vado a dormire ma sono contrariato. La mattina dopo ci sono
tante nuvole, mi affaccio dalla finestra e guardo le moto, ho solo
voglia di ripartire……
Verso le nove comincia a piovere, giro a vuoto per un po’ e
poi torno in albergo, tra l’altro mi si è
risvegliato dopo diversi mesi un intenso dolore alla spalla destra
(sarò operato ai primi di novembre). Sono partito
incurante di una fastidiosa sciatica che a poco a poco, grazie ai
farmaci ma anche al piacere del viaggio si è risolta, ora
questo dolore alla spalla proprio non ci voleva. Una parte del gruppo
è andata in centro, a vedere non so che cosa, con i presenti
passiamo tre ore a discutere la strada del ritorno. Le previsioni meteo
sono pessime, Ettore ed io ci lamentiamo di non aver visto
Ratisbona e Passau (dove tra l’altro il maltempo non
è ancora arrivato), Antonio è depresso,
è evidente che aveva accettato di venire a Stoccarda per
allungare il viaggio di ritorno passando per Strasburgo e la Svizzera e
l’idea non era niente male…In linea di massima si
va verso Monaco per poi fare un giro più largo
verso Rosenheim con destinazione Innsbruck, sempre in autostrada
evitando le strade di montagna. Alle tre del pomeriggio ci avviamo, non
piove ma la spalla mi fa un male cane, sbagliamo direzione, ci fermiamo
sul ciglio della strada con i TIR che ci sfiorano, il GPS di Gaetano
non funziona per le troppe nuvole. E’ chiaro che
abbiamo sbagliato ma io insisto per proseguire in quanto la direzione
secondo me è comunque giusta, Ettore mi appoggia ma non
riusciamo ad essere convincenti, discutiamo discutiamo e
all’improvviso vediamo Mino che “è
andato in ricognizione” e ci fa grandi segni sfrecciando
sulla corsia opposta. Il tempo passa e Mino non torna, i TIR continuano
a sfiorarci, decidiamo di aspettarlo alla prima stazione di
servizio, ripartiamo. Sono sempre convinto che la direzione
è giusta, ci sono indicazioni per Ulm ed Ulm è ad
est, più o meno all’altezza di Augsburg e quindi
prima o poi la via per Monaco si trova. L’autostrada a un
certo punto finisce in un paese, ad un semaforo quelli in
testa strombazzano, fanno grandi segni e invertono la marcia,
forse hanno avuto notizie da Mino, certo è che dopo qualche
minuto imbocchiamo a tutta velocità l’autostrada
di prima in direzione…Stoccarda! A questo punto mi incazzo
davvero, rallento e maturo la mia decisione mentre mi faccio superare
dagli altri: torno a casa da solo. Al primo svincolo esco e torno
indietro. Sono solo e su una piazzola d’emergenza riguardo la
carta: mi sembra chiaro che mi trovo su quella che viene indicata come
“strada con caratteristiche autostradali” e corre
parallela alla A8. Mando un SMS a Riccardo, gli spiego che a furia di
fermarci a bordo strada qualcuno potrebbe farsi male, lo prego di
salutarmi tutti e di scusarmi, se è possibile. Riccardo
è l’anima del gruppo, mi conosce da quando avevamo
i calzoni corti, è una persona straordinaria,
capirà… Spengo il cellulare e vado avanti,
raggiungo il paese di prima e proseguo seguendo le indicazioni per Ulm
su una strada che sale in un dolce paesaggio collinare, peccato che il
cielo sia così grigio ma almeno non piove, ogni tensione
è scomparsa, a un certo punto trovo le indicazioni per la
A8, quella che avremmo dovuto prendere all’inizio.
E’ fatta, ma perché non mi sono stati a sentire?
Dopo Augsburg il tempo migliora, il cielo è azzurro e non fa
freddo, aumento l’andatura, sono sui 160 quando vedo delle
moto su una piazzola, freno, non sono loro… peccato,
proseguo di buon passo, sono quasi a Monaco, mi chiedo se sia davvero
necessario fare il lungo giro programmato stamattina, ovviamente non mi
sembra il caso e punto a sud, il tempo è bello e Breva fila
che è una bellezza. Quanto ho sbagliato lo capisco dopo una
cinquantina di km., quando comincia a piovere a dirotto. Le montagne
sono nascoste da nuvole nere, farei bene a fermarmi a
Garmisch ma proseguo, se arrivo a Mittenwald senza problemi potrei
raggiungere Innsbruck…
Mentre la strada sale la pioggia diventa torrenziale, alla luce dei
lampi leggo il nome “Klais”, entro nel villaggio,
parcheggio e mi fiondo nel caldo della Posthotel Gasthof. La
stanza è accogliente e c’è
una vasca dove faccio un magnifico bagno dopo aver
messo i vestiti sui termosifoni e da dove telefono
a casa (il tempo è discreto, va tutto
bene…). Prendo un antidolorifico, scambio qualche SMS con
Riccardo, abbiamo fatto la stessa strada ma loro si sono attardati nei
dintorni di Monaco e sono molto indietro.
La stagione invernale è finita, quella estiva è
lontana, credo di essere l’unico ospite
dell’albergo, a parte un paio di anziani del posto seduti al
bar. La cena è ottima, i compagni di viaggio mi mancano ma
ogni tanto un po’ di solitudine ci vuole, non provo
più senso di colpa ma una leggera sensazione di
libertà, strana se penso che sono prigioniero della pioggia
fra mura sconosciute, in un paese praticamente deserto. Sulla strada
non passa nessuno, si sente solo la pioggia che scende fitta, vado a
meditare in camera, non faccio in tempo a infilarmi sotto le
coperte che dormo.
Mi sveglio che è ancora buio, ma sta smettendo di piovere.
Rimango sotto le coperte ancora un’oretta, starei divinamente
se non fosse per la spalla, mi preparo lentamente, faccio una
magnifica colazione, saldo il conto (mite), saluto e mi avvio
mentre, naturalmente, ricomincia a piovere.
La strada sale fino al passo Shamitz dopodichè comincia una
discesa tipo otto volante, all’andata non mi ero accorto che
era così ripida, c’era il sole e Breva volava
leggera, come ignara della legge di gravità, fra il verde e
verso l’azzurro… ora è veramente
grigia, dietro una curva una colonna di auto scende a passo
d’uomo; mentre le sorpasso con cautela sento una
forte puzza di bruciato: ad aprire la fila è un camion
ungherese che scende di prima e coi freni tirati, l’autista
lo vedo solo per un attimo ma mi sembra terrorizzato… Nei
dintorni di Innsbruck piove ma l’autostrada, alla quale
guardiamo sempre con antipatia, mi accoglie amichevole, vado avanti sui
110 e penso all’infinito su e giù dei pistoni
della Breva, all’albero motore che gira e gira come la vita,
come questi giorni passati in un attimo. Le indicazioni sono
nomi che ho letto pochi giorni fa, lungo l’altra strada, ma i
luoghi da qui non li riconosco, la pioggia è fredda ma ho
come un senso di leggera euforia, mi viene di aumentare
l’andatura ma mi trattengo, con la coda dell’occhio
vedo il paesaggio che corre e mi abbandono ai pensieri, non mi accorgo
di aver passato il confine e dalle parti di Bressanone esce addirittura
il sole. Anche a Bolzano c’è il sole, mi fermo
all’autogrill per un cappuccino e cornetto, mi sgranchisco un
po’, chiamo Riccardo ma non lo raggiungo, mando un SMS,
faccio benzina e riparto mentre tornano le nuvole. Trento, Verona,
Modena è tutta una tirata, vado svelto, la spalla mi fa meno
male, mi sento in forma, mi fermo solo per la benzina mentre gli altri
stanno partendo da Innsbruck, vedo lo stabilimento Ducati a Borgo
Panigale mentre ricomincia piovere. Vado svelto, devo fare la
Ravenna-Orte e prima ci arrivo meglio è, penso
all’ultima volta, di ritorno dall’Austria insieme a
mio figlio, era l’agosto del 2003 e non vedevo
l’ora di lasciare l’aria rovente della
pianura… sento che oggi sarà diverso. La imbocco
che piove a catinelle, vado a 50 all’ora dietro un
fuoristrada che non si vuole spostare dalla corsia di sorpasso.
Lampeggio, suono il clakson, lampeggio e rilampeggio ma
quello… niente! Alla fine sorpasso sulla destra e capisco
perché quel villano non mi dava strada: l’asfalto
è un susseguirsi di buche, che con quest’acqua non
si vedono. Piove un po’ di meno, prendo un minimo di
velocità (non più di 70-80 km/h) e a un certo
punto la moto si impunta e il posteriore si solleva, non so
precisamente cosa ho fatto ma la moto mi parte davanti, sono attimi di
terrore puro, sbando ma ho fortuna, non sbatto da nessuna parte, mi
fermo sotto un cavalcavia. Riprendo fiato, le gomme sembrano a posto,
è un miracolo poterla raccontare, il dolore alla spalla
è violento, vado avanti fino a Verghereto dove
c’è un’area di servizio
sull’altra corsia, per raggiungerla devo percorrere una
stradina piena di ghiaia. Al bar sento tanta gente che si lamenta, io
sono abituato alla Salerno-Reggio ma questa Orte-Ravenna è
veramente incredibile. Mi riscaldo con un the bollente e chiedo se non
sia il caso di deviare sulla viabilità ordinaria,
mi dicono che il peggio è passato e che dopo, specialmente
dopo S. Sepolcro, tutto è normale. In effetti
è così e arrivo rapidamente a Perugia e da mia
figlia che ovviamente, dato il tempo, stava in pensiero. Lascio Breva
in un parcheggio e mi rimetto un po’ in sesto, Francesca
cucina, per me è sempre la mia bambina anche se ormai ha 23
anni, mi piace vederla che si prende cura di me, è bello
stare con lei. Per sperare di prendere sonno è
indispensabile un altro antidolorifico, vado a letto e penso alle tante
strade che potrei fare domani mattina, vado ad Orvieto passando da
Marsciano, vado da Terni a Rieti passando per il lago di Piediluco, nel
frattempo finisco fra le braccia di Morfeo. La mattina dopo
è presto quando mi sveglio col pensiero della moto che non
ho potuto lasciare in un garage custodito, metto i pantaloni e un
maglione sopra il pigiama e vado al parcheggio; lei è
lì che mi aspetta, è sporca da fare pena ma mi
sembra contenta di ripartire. La riporto sotto casa e rientro senza
fare rumore, mi lavo, mi vesto mentre preparo la colazione, sveglio
Francesca con un caffè, l’abbraccio, scendo
giù e carico i bagagli, monto in sella e la guardo
affacciata alla finestra, le faccio un saluto alzando la mano
destra…il dolore è così acuto che
perdo l’equilibrio e cado come uno stupido. Mi aiutano a
rialzarmi e a rialzare la moto, per fortuna ho solo graffiato la borsa
destra, cerco di prenderla con spirito e mi avvio, salutando per
precauzione con un cenno del capo. Il tempo è grigio e non
ho compagni, tanto vale scegliere la via più breve, esco da
porta S. Pietro e giù verso Orte, c’è
poco traffico e non piove ma vado avanti a velocità codice e
mi godo questa strada che ho fatto tante volte ma mi piace sempre, con
i suoi panorami e i borghi sospesi in lontananza. Da Orte in poi non
c’è storia, solo traffico e nuvole, vado avanti a
130-140 di tachimetro, ogni tanto piove e rallento ma non ci sono
problemi fino in Basilicata, dove la pioggia si fa intensa. Il mio
vecchio casco modulare proprio ora comincia a cedere al peso degli
anni, e dalla visiera si infiltra un po’ d’acqua.
Ora che ci penso anche l’ultima volta che ho fatto questa
strada in moto, alla fine di maggio dell’anno scorso, pioveva
a dirotto, ma subito dopo il valico di Campotenese ha smesso. Il
miracolo si ripete anche quest’anno, a mano a mano che salgo
la pioggia diminuisce, a quasi 1000 metri d’altezza
l’autostrada percorre un piccolo altopiano, faccio una
galleria e scendo a valle mentre mi asciugo col vento, vado
svelto ma senza correre, ormai sono certo che la pioggia non mi
raggiungerà un’altra volta, rivedo il viaggio come
in un film, i panorami, la natura, le soste e le belle serate, mi torna
il senso di colpa nei confronti degli amici ma in fondo la parte
piacevole del viaggio l’abbiamo condivisa e ci siamo
divertiti insieme. Poi, in questi giorni di maltempo per unica compagna
di strada ho avuto Breva, siamo partiti che aveva meno di
2000 km., ora di strada ne abbiamo fatta e mi sembra di conoscerla da
sempre. In poco più di due giorni abbiamo macinato
oltre 1600 km., non molti in assoluto, ma tanti se consideriamo le
condizioni meteorologiche e la Orte-Ravenna.
Tra poco saremo a casa, sono contento ma con una vena di malinconia, il
viaggio è finito… andiamo lisci come
l’olio, il motore quasi non si sente ed io penso di nuovo ai
pistoni che vanno su e giù, su e giù,
trecentomila volte in un’ora, milioni di volte in questi
giorni che mi sembrano un sogno fra la neve e il sole, la
pioggia e il verde della campagna, i distributori di benzina e le
antiche mura, l’urlo degli 8.000 giri e la voce del vento.
© Anima
Guzzista

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