N. 33 - 26 maggio 2006
di Mauro Iosca
Sono della generazione che andava in Spagna col sacco a pelo dopo la maturità; con cinquecento mila lire facevamo un mese di vacanza tutto compreso. Compreso un giorno di campeggio regolare ogni tre di razzolare selvatico sulla spiaggia. Quella spiaggia che ci accoglieva un po’ più semplice, un po’ più possibile, forse solo un po’ più libera e inconsapevole. Era il 1985; oggi, vent’anni dopo, provate a prendere un aereo in giornata, per esempio Milano – Valencia, visita di due/tre ore della città, andate all’acquario, al giardino botanico, all’università (non serve entrare), prendetevi un aperitivo e tornate a Milano. Vi sembrerà d’aver fatto un viaggio con la macchina del tempo; o siete stati nel futuro o dove siete tornati stanno recitando una commedia in costume; verosimilmente la seconda ipotesi è la realtà e si capisce perché la candidata a sindaco della città prometta “Milano sarà la capitale della fiction …” ed io temo che lo dica seriamente. A Valencia invece (non a New York: a Valencia) un architetto pazzo che si ispira allo “scheletro animale” ha in questi anni ridisegnato le basi da dove si continuerà a fare l’Europa e la Coppa America.
Intuire, osare, agire.
1985… anche quelli erano tempi duri: alla Moto Guzzi si stava vivendo la parabola discendente di De Tomaso e mentre “gli altri” (soprattutto i giapponesi) filavano col vento in poppa, a Mandello si respirava il ristagno. Principalmente quello che mancava era la volontà politica di avanzare. De Tomaso riversava tutte le sue attenzioni sempre di più verso il settore dell’auto e dalla fabbrica della Guzzi uscivano in grande quantità V 35 e V 50. Furono le migliori annate per la serie piccola, mentre la serie grossa “boccheggiava”: mancava in “design”, mancava in modelli nuovi, pochi e scarsamente convincenti. Le vendite non formidabili cominciavano a stringere il cappio alla non splendida situazione finanziaria; ciò nonostante fu in questa cornice che il geniale Lino Tonti realizzò uno dei prototipi motoristici filosoficamente più significativi e probabilmente il meno noto tra tutti. Il motore in questione aveva quattro cilindri a V, quattro valvole per cilindro, le teste raffreddate a liquido, le camme in testa e - aspetto assolutamente non trascurabile - era disposto come se fossero due motori bicilindrici classici accoppiati uno davanti all’altro; cioè non modificava la disposizione architettonica del più tradizionale due valvole sacro a tutti i guzzisti (che dio li strafulmini). Perdonatemi la grossolana semplificazione, ma filosofeggiando possiamo dire che questa intuizione del Tonti riassume oggi per intero il percorso che mette, dopo vent’anni di sviluppi appropriati, la Ducati nel campionato MotoGP con il suo Desmosedici.
Intuire, osare, agire.
I giapponesi si consumarono le Reflex su questo prototipo alla fiera di Milano, così che mentre neanche a dirlo Moto Guzzi abortiva il progetto, la Honda con una copia conforme in tutto e per tutto arrivava a motorizzare la sua “turistica”, meglio nota col nome di Pan-European.
Soichiro Honda nel 1954 era già stato consacrato dall’Imperatore come uno degli eroi dell’epopea industriale nipponica; aveva già creato un’azienda potentissima e avrebbe potuto godersi il suo successo circondato da geishe pronte a soddisfare ogni suo più banale desiderio e invece il sig. Honda, roso dalla smania di costruire qualcosa che ancora non sa fare, parte alla volta dell’Europa, dell’Italia dove capire, imparare, erudirsi.
Intuire, osare, agire.
Piani di sviluppo senza ambizione non fanno temere inutili rischi… Nemmeno faranno però sperare in necessari benefici. Così mentre a sud delle Alpi si presenta al mondo la bella ed incolpevole Norge, a nord delle stesse Alpi, nell’azienda genitrice dell’ispirazione della suddetta Norge, si presenta al mondo qualcosa di più, qualcosa che ha davvero il sapore del sogno: tre cilindri, ottocento cc. Destinazione motoGP.
L’aquila, l’elica, il volo.
E mentre “quelli dell’elica” saltano a piedi pari nel futuro, quelli dell’aquila e i loro capitani approdano nel porto più sicuro che c’è, non quello modernissimo della ciudad del Santo Caliz, frizzante e ossigenato dall'eccellenza della massima sfida, ma in quello appena riaccomodato, bagnato dalle stagnanti acque del laghetto sotto casa.
Tutto questo, lo stesso giorno, nello stesso momento, vent’anni fa ed oggi.
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