N.
28 - 10 ottobre 2005
Il sangue dalle rape
di Mauro Iosca
Un caro amico nonché stimato professionista milanese tempo fa rispose così all’invito ad accompagnarmi ad un raduno organizzato da un noto club di appassionati motociclisti: “no grazie, devi sapere che per me rispetto a quel club qualcosa è cambiato, in passato era diverso: sai, un piccolo gruppo di veri amici molto intimo, molto d’elite: oggi siete davvero troppi, troppa gente, troppa confusione e poi sai io faccio fatica ad inserirmi e quindi grazie ma stavolta passo”.
Lo stesso giorni fa mi chiama al telefono e mi domanda con vera amorevole preoccupazione come mai da un paio di settimane non vede aggiornamenti di rilievo sul sito del suddetto club che quotidianamente egli visita e da cui trae, spero, divertimento e informazioni che lo fanno in qualche modo sentire in contatto con un “mondo”, probabilmente non un grande mondo, ma un mondo che in qualche modo esiste, si muove, cresce e che in breve si evolve. Sono sicuro che l’affettuoso interessamento mostrato fosse non solo rivolto a quell’iniziale sparuto gruppetto di amici d’elite, che comunque continuano a far parte del club, bensì a tutti coloro che quel club lo “fanno”e cioè a cui il club appartiene e che per transumanza ad esso appartengono.
In sintesi, tutto sommato, una ricetta semplice ma di assoluto successo. Mi viene da dire all’amico stimato professionista milanese, che se una “cosa” nata naturalmente cresce, trova un suo spazio, una propria dimensione, si espande, moltiplica le sue funzioni e sfrutta continue potenzialità, altro non si può chiedere in tempi come questi assolutamente poco interessanti.
Ora si raccolgono le barbabietole e a volte passando per la campagna mi capita di osservarle lì ammucchiate negli angoli dei campi al lato della strada e penso che, sebbene l’utilizzo sia arcinoto, il processo che trasforma un così poco ”gentile” (nelle fattezze) frutto della terra in quella raffinatissima e dolcissima bianca sostanza, non deve essere né semplice né a buon mercato, ma alla fine in qualche modo redditizio e soddisfacente (energia e gusto perlomeno sono assicurati).
E il pensiero torna a un paio di anni or sono (o giù di lì), ad un altro amico che stimo molto (anche se ormai sento poco) e che al tempo lavorava in un’antica fabbrica di velocipedi a due ruote, quando mi annunciava con travolgente entusiasmo l’idea di creare il club dei clubs; un Club Mondiale.
Di questo amico mi preme spiegare che, in merito alla visione del presente, del futuro, della passione, della realtà e della fantasia della motocicletta condividevamo nulla o quasi nulla ma che ad ogni occasione ho avuto con lui comunque un confronto soddisfacente, perché questa persona parlava, argomentava, rispondeva alle domande, ne poneva a sua volta e conosceva perfettamente le basilari regole della buona creanza e dell’educazione. In breve vi dico che, anche se in modo un po’ “coatto”, si mise “in moto” e costituì davvero il Club Mondiale. Fin da subito si capì che le ambizioni erano molte e sconfinate, ma le risorse ahinoi non proprio commisurate.
Il club ora in esame ancora esiste sebbene l’amico, leader di quest’avventura, lasciata l’azienda abbia portato via con sé la spinta propulsiva che in qualche modo fino ad allora l’aveva sostenuto.
Anche se visti i trascorsi non sono la persona più adatta, proverò idealmente a ricordare cosa questo amico aveva in mente per questo club mondiale e se mi sbaglierò di molto l’interessato mi redarguirà:
Il club dei clubs
Essendo questo fortemente voluto dall’azienda e collocato dalla stessa idealmente al vertice di tutti i clubs con nepotistica sovranità avrebbe quantomeno dovuto essere strutturato allo scopo di poter lavorare ed esprimersi facendo veramente da guida e da tramite tra i club (alcuni magari esistenti da diversi lustri) e l’attuale dirigenza o se si può dire a chi la rappresenta, creando quantomeno una elementare forma di struttura stabile, dove una o due persone con un minimo di competenza e autorevolezza avessero dedicato efficacemente tempo ed energie all’incarico, utilizzando tutte le risorse comunicative del caso.
Il club di peso
L’organico di questo club mondiale avrebbe dovuto avere al suo interno persone di alto spessore, capaci di far valere la propria personalità ed il loro peso appunto nelle trattative con l’esterno a supporto dei club aderenti; mi viene in mente per esempio esercitare un più alto potere contrattuale presso i circuiti di velocità nazionali ed esteri per guadagnare maggiori spazi o sconti più elevati; o nella richiesta di spazi pubblici come piazze o spiagge dove giungere giocondi in motoristici raduni con maggior serenità e minor sforzo…
Mondiale... nel senso che?
Al vertice di questo club mondiale avrebbe dovuto sedersi una persona ‘super partes’, di chiaro, evidente carisma internazionale (e il pensiero vola a personaggi del calibro di John Wittner) e un consiglio direttivo ‘mondiale’ composto di persone di grande, comprovata esperienza nell’organizzazione di eventi, raduni a livello internazionale, e qui il pensiero va ai diversi club stranieri come il Moto Guzzi Club France, il MG Club Belgium, il MGNOC americano, il Moto Guzzi Club UK, … persone con alle spalle l’esperienza dell’organizzazione di decine di eventi, che conoscono a fondo le problematiche, i desideri, le visioni dei tanti appassionati delle motociclette di Mandello, in modo da poter giungere a una effettiva visione mondiale delle realtà di passione.
L'organo di stampa
Una delle funzioni avrebbe dovuto essere la distribuzione delle informazioni e delle notizie che dal mondo arrivano e che al mondo vanno ridate, sennò tanto valeva restare “parenti alla lontana”. Qualcuno cioè avrebbe dovuto occuparsi di collezionare tutti gli spunti più interessanti magari viaggiando, incontrando e conoscendo gli animatori di tutte o delle maggiori realtà esistenti sul pianeta e quindi creare tra tutti dei legami più forti e consolidati.
Questo C.M. (Club Mondiale) che è meglio di WC (World Club) avrebbe dovuto quindi avere una vera rivista d’informazione, con servizi e immagini degli appassionati di tutto il mondo che raccontano le loro storie pubblicando tutti i mesi le avventure più entusiasmanti che gli appassionati avrebbero dovuto inviare e che una piccola, operosa redazione, avrebbe naturalmente tradotto in inglese, un inglese per tutti i “mondiali” naturalmente.
E poi, certo, anche regali, regalini, stendardi, toppe, spille, gonfaloni, striscioni e pennacchi, fasce da primi cittadini e quant’altro.
E queste sono solo alcune delle cose che mi immagino quell’amico avrebbe voluto fare e che forse un giorno si faranno, perché no?
Perché un club mondiale che ha dietro una grande azienda sicuramente ci sorprenderà con molto di più di tutto ciò che oggi non è il MGWC ed io che ci credo, allora non sarò impreparato.
Di una cosa sono certo però: ripensando alle barbabietole e all’affascinantissimo processo di estrazione dello zucchero, so che con fatica è possibile, ma cavare sangue dalle rape di certo non lo è.
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