N. 41 - 12 novembre 2007
Tre asterischi, una penna
e un taccuino.
Ovvero le ragioni dell’ottimismo
di Goffredo Puccetti

Nonostante nel corso degli anni lo spettro delle mie attività professionali si sia allargato e le mie competenze diluitesi con alterne fortune, quando devo definirmi in una sola parola ritorno spesso a ‘Grafico’. Dunque diciamo che sono un grafico, o almeno che oggi mi sento più grafico che altro - così mi tutelo anche da eventuali imprecisioni in quanto andrò a scrivere... - e come tale voglio raccontarvi un aneddoto su Jan Tschichold, l'inventore delle copertine dei tascabili Penguin; per noi grafici, Jan Tschichold è dio in terra.
Nel 1949, Tschichold era il responsabile del design della Penguin Books di Londra da due anni. Allen Lane in persona era andato a strapparlo dal suo studio di Zurigo. Un bel giorno Dorothy Sayers, autrice e traduttrice rinomatissima, nella lista dei primi dieci autori della casa editrice del pinguino, ebbe la malaugurata idea di commentare il design della copertina pensata da Tschichold per la sua traduzione de L'Inferno di Dante: non le piacevano quei tre minuscoli asterischi che Tschichold aveva inserito nel layout della pagina ed inviò quindi al maestro una breve nota dove scriveva che nessuna copertina che si rispetti dovrebbe aver degli asterischi. Tschichold, mentre mandava il libro in stampa, le rispose a sua volta: «(...)Gli asterischi restano lì dove sono (...) non so dove lei abbia appreso queste idee ma in ogni caso è il maestro a fare le regole e infrangerle quando vuole, non lo scolaro. Quegli asterischi sono necessari per mettere in valore il centro della composizione, evitare incongruenze tra le varie parti del testo e suddividere l'informazione in maniera appropriata.» La Sayers, colpita dall'enfasi di Tschichold tentò di rimediare spiegando che per lei gli asterischi erano segni di interpunzione e non ornamenti; come tali continuava a non approvarli. Apriti cielo! Tschichold rispose ancora: «gli asterischi non sono lì per ornamento, per mascherare un errore nelle proporzioni. Sono davvero importanti per la composizione. Lasceremo la copertina così com'è. Punto e basta!» Di nuovo la Sayers, che era pur sempre abituata ad avere l'ultima parola sui suoi libri fino all'arrivo di Tschichold, inviò una nota sarcastica: «va bene: se ci tiene così tanto ai suoi piccoli asterischi, non è che mi importi poi tanto; vorrà dire che a chi mi chiederà spiegazioni dirò che ogni asterisco rappresenta un cantico e quindi tutto è bene ciò che finisce bene...». Il sommo Tschichold non si privò del piacere di avere l'ultima parola: «la ringrazio per la sua lettera, il libro sta per essere stampato. Spero che quando vedrà il lavoro finito lei potrà comprendere le ragioni della mia ostinazione.»
Che grande maestro! Capace di incaponirsi per tre piccoli asterischi. Ma è possibile che davvero un asterisco sia così importante? A chi e a cosa pensava Tschichold quando non esitava a mettersi contro una delle autrici più prestigiose per la casa editrice, pur di difendere una copertina? Certamente non pensava ad un suo tornaconto immediato o alla quotidianità del suo lavoro, ché non è piacevole essere giudicato come rompiscatole dai colleghi. Forse pensava che doveva fare così perché le cose andavano fatte così. Mezzo secolo è passato da allora e in nessuna parte del mondo nessuna casa editrice ha mai eguagliato la perfezione raggiunta dalla Penguin negli anni di Tschichold. Le regole di composizione redatte da Jan Tschichold continuano ad inspirare i grafici e gli impaginatori in tutto il mondo. Fine del racconto, spero di non avervi annoiato. Ora veniamo a noi.
Esattamente un anno fa, la Moto Guzzi presentò una moto inguardabile: la 940C poi battezzata Bellagio. La stessa moto quest’anno si presenta riveduta e corretta in pochi piccoli dettagli che la rendono non solo assai più bella ma decisamente completa, plausibile come prodotto, come opera finita. Per far sì che ciò accadesse non è stato necessario nessun viaggio a Zurigo alla ricerca di un guru. Nell'era di internet la competenza del genio isolato è a rischio: le idee e le opinioni circolano alla velocità della luce. Il sapere si espande in mille direzioni e poi converge, si struttura intorno a dei forum virtuali, a delle mailing list. Ogni giorno si discutono argomenti (topic) che vengono dibattuti in arene che superano il confronto con qualsiasi seminario o convegno. La selezione del sapere diventa di tipo darwininiano, esattamente come i meccanismi che decidono dell’autorevolezza o meno dei commenti. A muovere il tutto basta il proverbiale battito d’ali della farfalla: il sopracciglio alzato del designer presente alla presentazione della prima Bellagio diviene in poche ore un seminario virtuale sul design e si traduce in decine di bozzetti di autori vari: il meglio di quel bozzetto viene trattenuto e passato oltre; ripreso da altri, modificato di nuovo; e così via. La potenza dell’algoritmo di questo sapere collettivo è irrefrenabile e nel giro di pochi giorni dalla presentazione della Bellagio 2007, ecco che sulla rete appaiono le diverse evoluzioni possibili. Una di queste evoluzioni è la Bellagio 2008. Diversa da quella dell’anno precedente per una manciata di ‘dettagli’ che si rivelano assolutamente fondamentali. Una “selezione naturale” che permetterà alla Bellagio non solo di sopravvivere, ma speriamo anche di imporsi dopo un debutto commerciale certamente non spettacolare.
È questa capacità di ascolto dell'utente e di intervento alla base del restyling della Bellagio che vorrei sottolineare. Certamente, mi si dirà che la Bellagio è solamente adesso come avevamo desiderato fosse a qualche ora dalla sua presentazione! Ma è una obiezione che non tiene conto dei tempi industriali. La Bellagio, bassa, brillante e col serbatoio otticamente schiacciato da quel doppio colore e da quel filetto piacerà di più (nota a margine: talmente di più che non servirà metterle vicino un bovaro con una sella in spalla...). E quando, speriamo finalmente in tanti, approderanno nella nostra comunità i proprietari di Bellagio, ognuno di noi potrà dire di aver contribuito, di aver dipinto una parte, magari piccola come un asterisco, di quel filetto sul serbatoio.
Detto della Bellagio, che finalmente vedo davvero come una moto nuova, concludo con due righe sugli uomini nuovi. C’è una cosa che mi ha colpito piacevolmente allo stand della Moto Guzzi. Una cosa che mi induce a non spendere parole sulllo stand Guzzi in sé - il più anonimo tra quelli delle case italiane al salone e probabilmente lo stand più dimesso e povero della storia della Moto Guzzi all'Eicma - e ad immaginarmi piuttosto quanto diverso dovrà essere il prossimo. Perché più della Stelvio (che trovo bellissima e a cui auguro un gran successo di vendite), più della simpatica V7 Classic (sulle cui incongruenze e nome infelice ho già detto), più della splendida California Vintage bianca, sono rimasto assai piacevomente colpito dalla penna e dal taccuino del nuovo Amministratore Delegato Tommaso Giocoladelli. Non perché fosserò di chissà quale marca di tendenza o di una fattura di chissà quale ricercatezza; questo non l'ho nemmeno notato. Ho notato invece che erano lì: nelle mani del nuovo capo che si segnava ogni commento, ogni critica. Un dirigente capace di ascoltare, desideroso di ascoltare. Immagino l’obiezione: va bene Goffredo, conosciamo il recente passato, ma non venderci un semplice approccio umano diverso come una novità epocale: secondo te davvero basta questo per essere ottimisti?!? Secondo me sì. È un cambiamento che arriva in concomitanza con altre belle notizie che parlano di investimenti pluriennali per la ristrutturazione della fabbrica di Mandello del Lario, giusto per citare la notizia più recente. Certo poi bisogna metterci del nostro; di qualcuno che ascolta non ci si approfitta; anzi si pesano le parole e si parla solo quando si è sicuri di avere qualcosa da dire. Il nostro impegno sarà questo. Ogni singolo asterisco mancante sarà segnalato nella convinzione che ad ascoltare ci sia qualcuno capace di capire che, alle volte, non c’è niente di più importante di un asterisco.
Il dramma degli ottimisti è che non saranno mai piacevolmente sorpesi da nulla, diceva qualcuno. Da parte mia mi acconterò di poter dire, tra qualche anno, visitando la Nuova Fondazione Moto Guzzi di Mandello del Lario in sella alla mia sportiva stradale Guzzi: "Visto che bello? Pensa che me lo ero immaginato proprio così già nel 2007".
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