Orosei report 5 - Alba Dorata
Ci congediamo dai nostri ospiti del carcere di Mamone con
sentimenti
contrastanti: qualcuno che mi dice: "Ma perché non abbiamo
portato qui la
Guzzistiliberibluesband?". altri, altrettanto giustamente,
vogliono
riprendere a macinare Km.
Mi metto alla testa del convoglio e cominciamo a muoverci.
Dopo pochi km.
percorsi in una strada tutta curve, in un continuo
saliscendi, dove non si
trova un'auto a spararla, con l'asfalto tutto ruvido e
granuloso...
arriviamo ad un distributore all'entrata di Lodè e ci
fermiamo: molti devono
riempire il serbatoio.
Anche Andrea. E' davanti a me. Ferma la moto, si muove sulla
sella per
scendere e...
caccia un urlo disumano ed afferra saldamente il cavallo dei
pantaloni
rispolverando con precisione di particolari l'intero
calendario: "M'ha preso
ar cojone!". Sulle prime non capisco, poi vedo vicino alla
ruota anteriore
della sua moto un calabrone tramortito. Lui urla come un
forsennato.
Ma non per il dolore.
Per la rabbia. "Proprio un coglione, doveva prendermi, 'sto
stronzo!
Armeno me pijava un po' più su e stasera facevo un figurone
co' mi moje!
Emmò che ce faccio co 'n cojone a zampogna?".
Stabilito che non abbiamo ammoniaca al seguito gli
suggeriamo il sistema
della chiave premuta sulla puntura. La risposta è
irripetibile anche da uno
come me, che in galera c'ha lavorato per 14 anni.
Si riparte e, su suggerimento di Stefano Caiazza,
imbocchiamo la Lodè -
Lula. Non l'ho mai percorsa e sono in coda al gruppo con
Giannino, Stefano,
Demetrio, Roberto Pirastru, Luca e Giorgia.
La strada costeggia il Monte Albo, una cresta che corre da
nord a sud
parallela al mare. Ricordo vagamente che la cima è a circa
1200 metri e noi
percorriamo una strada che si snoda parallela alla cresta,
circa 2 - 300
metri più in basso.
E' straordinario, ancora una volta, vedere con quanta
rapidità cambiano i
paesaggi e gli scenari in Sardegna.
All'inizio attraversiamo una pietraia desertica con radi
arbusti. Ci
fermiamo, facciamo qualche foto, ma non sono tranquillo:
devo arrivare al
villaggio assieme ai primi. Mi congedo e, a malincuore, mi
avvio da solo.
Dopo qualche chilometro mi ritrovo immerso in una verdissima
lecceta con le
fronde che si incrociano ad oscurare il cielo in alcuni
tratti di strada.
Strada che, indovinate un po', segue il costone roccioso,
assecondandolo.
Dopo qualche chilometro ancora comincio ad incontrare
pecore, mucche,
cavalli al pascolo brado lungo le cunette. I cordoli, in
alcuni tratti, sono
a strisce alternate bianche e rosse!!
Sembra la pista del paradiso dei motociclisti. In trenta
chilometri incontro
due auto: una è una Punto dei Carabinieri.
Ho un'andatura allegra, ma capisco che lungo una strada così
non raggiungerò
nessuno. Oltratutto la moto continua a sputazzare a medio
regime. Ho
parecchio svantaggio e sicuramente si sono esaltati ed
ingarellati.
Sto facendo questa considerazione quando, dopo la
trecentomilionesima curva,
vedo un rettilineo lungo sì e no ottanta metri e, all'ombra
di un leccio,
sul ciglio, una moto ferma.
E' il Comandante che si fuma una paja.
Accosto e spengo. Dopo poche frasi lo invito al silenzio.
E rimaniamo per qualche decina di secondi ad "ascoltare" il
silenzio.
Un silenzio assordante, fatto proprio di "nessun suono".
Probabilmente nel raggio di qualche chilometro non c'è
essere umano.
E' la sindrome di Robinson. Quella che mi prendeva quando,
all'Asinara,
all'imbrunire salivo con il gilera lungo una mulattiera che
portava alla
cima più alta. Spegnevo e rimanevo ad ascoltare il silenzio,
lontano dieci
chilometri dall'essere umano più vicino. E mi sentivo una
specie di
Robinson sull'isola (quasi) deserta. Ad ascoltare quel
silenzio che in
città, nella vita di tutti i giorni, non sentiamo mai, non
esiste.
Stiamo lì per qualche minuto, senza avere il coraggio di
andarcene.
Poi arrivano gli altri e ripartiamo. Con il Comandante c'è
poco da
scherzare: stargli dietro e difficile, stargli davanti
un'impresa. Ma,
risvegliatomi dal sogno, ho fretta. Devo raggiungere il
residence, sono
quasi le sei e mancano cinquanta km.
Tiro come un dannato. Rinuncio ad un'ultima strada curvosa e
prendo lo
"scorrimento veloce": rettilinei e curvoni da 140 all'ora.
Il G5 arranca, ma
lo aspetto. Arrivo ad Orosei e trovo Davide Valca e Nico.
Facciamo
rifornimento e ripartiamo.
Gli ultimi chilometri per arrivare al residence sono fatti
di rettilinei e
di traffico.
Quando arrivo al residence trovo Rita ed Eleonora (moglie e
figlia) che sono
arrivate in macchina ed hanno già occupato il nostro
bungalow.
La sede del raduno è in un villaggio di appartamentini a
schiera costruiti
intorno ad una piazzetta occupata in gran parte da un'enorme
piscina.
Intorno i portici e le verande degli alloggi, il bar ed il
ristorante. Il
tutto in un ambiente in cui tutto sa di curato, di pulito ed
accogliente.
Mentre gli altri si ambientano si scopre che, all'ultimo
momento c'è
qualcuno che vuole cambiare stanza, qualcun altro che non è
contento di non
mi ricordo più cosa...
La professionalità e la comprensione del personale del
residence mi aiutano
non poco.
Cambio, doccia, breve relax a bordo piscina e cena.
Mi guardo intorno e mi rendo conto che siamo tanti.
Troppi, secondo i miei calcoli.
Mangio tranquillo seduto tra Fange e quel mito che è Vanni
Bettega ma, dopo
cena, alla chetichella, catturo un Fange svogliato ed
andiamo in segreteria
a scaricare dal sito l'elenco degli iscritti (e dei paganti)
al raduno .
Controllo con la lista che mi passa la reception: siamo
molti di più, molti
non hanno ancora pagato.
Vado in camera, mi metto al computer e realizzo che mancano
ancora
all'appello più di 4.000 euro! Ed il fatto più sconcertante
è che non so chi
me li debba dare!!
Non dico niente a nessuno ma realizzo che domani salterò la
gita
sull'orientale. Devo capire come stanno i conti.
Poco male: sono stanco e potrò alzarmi più tardi.
Torno con gli altri che sbevazzano e ciàccolano a bordo
piscina. Ma sono
tutti un po' stanchi e poco dopo mezzanotte sono tutti a
nanna. Domani il
giro è di 230 chilometri. Senza rettilinei.
5 - continua
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