7° Trofeo Deccla Cartagena 2004

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N. 23 - 29 settembre 2004

 

 

Deccla

di Alberto Sala

 



Qualcuno potrebbe chiedersi che senso abbia mollare focolari e farsi quasi duemila chilometri per ritrovarsi attorno a una lingua d’asfalto in mezzo al nulla, sotto un sole torrido, con motociclette dure e scomode che ne hanno sempre una, mai una volta che fili tutto liscio.


A questa domanda non so se corrisponda una risposta sensata. So però che da oggi ci sono ancora più persone che potrebbero essere in grado di formularla, perché attorno o dentro a quella lingua d’asfalto ci sono stati anche loro, in mezzo al deserto della Murcia. La prima volta erano cinque, la seconda una quindicina. Ora una quarantina ha lasciato tutto per tre giorni, che minchioni. Forse è un rito folle, perlomeno per chi decide di rischiare le ossa su qualche probabile chiazza d’olio. Però a giudicare dal lampo nello sguardo, dalla leggerezza dello spirito nonostante gambe, braccia, cervicali e prostate doloranti, ci deve essere qualcosa di alchemico. E farsi un giro nel paddock di Cartagena significa cogliere continuamente quei lampi, avvertire un calore intenso oltre a quello atmosferico. Un calore che ti fa sentire a casa. Il lampo del più veloce come del corridore con la maggiore circonferenza di vita è il tuo stesso lampo, è la stessa ansia che ti ha portato qui, in mezzo alla polvere e all’unica palma nel raggio di qualche chilometro.


Ma non chiedetemi esattamente cos’è quel lampo, quel richiamo che si fa esigenza: non lo so, non so se qualcuno lo sa, e non me ne importa niente. Mi è bastato viverlo, assaporarlo nell’urlo all’ingresso in pista della sessione cronometrata, nel polso destro che non molla neppure quando la gomma posteriore si lamenta, nella strizza dopo aver tirato troppo la staccata, nella rabbia del sorpasso, nella ricerca. Nella nuova conoscenza.


Grazie, Deccla.

 


© Anima Guzzista