Aquile in Miniera 2006

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Atlantide 2006

"Andre1100Sport"

È passato più di un mese dal quel sabato 20 maggio che la mia mano sinistra (e meno male che era quella e non la destra!) non dimenticherà facilmente.

Il secondo di due tra i più bei giorni delle mia esperienza motociclistica stava finendo: dopo il lauto pranzo a Arbus, io e Sportnaked abbiamo perso il resto del gruppo e …

Ma prima di arrivare al fattaccio, voglio ricordare ciò che fino a quel momento aveva reso quei due giorni così belli.

 

Tralascio la noiosa trasferta Bergamo - Livorno.

Appena salito sul traghetto ho un inconveniente: la moto, appoggiata sul cavalletto laterale, comincia a afflosciarsi di lato, assumendo un angolo di piega che neanche Valentino … Per la traversata la appoggio con un semimanubrio al fianco della nave, legandola ben bene e smontando lo specchietto per non romperlo, poi in terra sarda constaterò che la filettatura della sede di una delle due viti che fissano il cavalletto al basamento si è spanata, la vite si è persa e non c’è verso di sostituirla (la filettatura della sede non tiene): per i giorni del raduno mi toccherà appoggiare la moto a pali, alberi e muretti vari.

 

Da Olbia parto al venerdì mattina di buon’ora, deciso a fare il tragitto previsto per il resto del gruppo per la giornata di giovedì, ma sul tratto Monti - Buddusò incappo in una strada chiusa x il Rally di Sardegna. Lunga deviazione fino a Ozieri sullo stradone per Sassari, poi bellissime strade per Anela, Bono e Bottidda fino a riallacciarmi alla Nuoro - Oristano, e da lì ancora stradone fino all’appuntamento di Uras.

 

Da Uras a Isili le strade sono uno spettacolo, comincio ad apprezzare il nuovo assetto della moto (l’avevo ritirata da una settimana da Agostini, dove ho fatto montare i famosi cuscinetti di sterzo Ghezzi&Brian). Bellissima l’esperienza di mangiare nella colonia penale e di sfilare davanti ai detenuti riuniti al campo sportivo. Ma il bello viene adesso: da Isili fino a tornare verso Uras, chilometri e chilometri di curve meravigliose, con traffico quasi nullo e asfalto bello. Mi lancio all’inseguimento dell’imprendibile Fange col suo Le Mans 850 (certo che a vederlo fare certe pieghe con le gomme da 90 davanti e 110 dietro, viene da chiedersi se poi i gommoni da 200 delle moto di oggi servono davvero o sono solo fumo negli occhi), e con mia sorpresa scopro di riuscire a tenere il suo ritmo indiavolato (anche se confesso che a un certo punto, faticando a tenere la scia sua e del VFR bianco che lo seguiva, mi ero detto: pensa alla classifica, meglio un buon terzo posto che rovinare tutto con una scivolata; poi però ho pensato: ma quale classifica e terzo posto, mica è il motomondiale, sei qui per divertirti: molla i freni e stagli dietro; e così è stato).

La sera, dopo la cena a Is Arenas, stanco morto crollo sul letto.

 

Il sabato, altro spettacolo: nel tratto del mattino (Is Arenas - Fluminimaggiore - Iglesias - Buggerru - Portixeddu - Arbus) io, Enrico e Sportnaked ci lanciamo in una sarabanda di pieghe, staccate e sorpassi, con loro due che più volte strisciano a terra ammennicoli vari dei loro V11 (ma la fidanzata di Sportnaked, secondo voi, è la donna più coraggiosa del mondo, o la più incosciente? quale delle due sia, massimo rispetto!) e a tratti con vista su scorci di mare meravigliosi, con tanto di foto ricordo.

Poi il lauto pranzo al ristorante di Arbus, che fiacca la resistenza di noi guzzisti più di cento chilometri di curve: Torre dei Corsari è lontano, qualcuno vuol tornare a Is Arenas per fare il bagno, qualcun altro propone di fermarsi lungo la strada per Torre dei Corsari a vedere le vecchie miniere e poi tornare indietro. Io e Sportnaked decidiamo per la seconda, ma perdiamo subito il resto del gruppo per una sosta dal benzinaio e andiamo a finire proprio a Torre dei Corsari, dove incontriamo altri “cani sciolti” che come noi avevano perso il grosso del gruppo.

 

Ci siamo: sono le sei di pomeriggio del sabato, sulla strada del ritorno da Torre dei Corsari verso Arbus e Is Arenas; gli altri sono rimasti un po’ indietro, sono rimasto solo e, in un momento di distrazione, su una strada in salita, stretta e con l’asfalto bocciardato (immaginatevi voi quanto stavo tirando …), in una curva a sinistra con piena visibilità (il pendio saliva verso destra, a sinistra la collina degradava verso il mare, quindi non c’era proprio nessun ostacolo alla visuale) penso bene di invadere la corsia sinistra proprio mentre incrocio una delle forse dieci auto incontrate in tutto il giorno. Impatto violento tra l’ariete-1100Sport (per fortuna, constaterò poi, non con la ruota, ma col cilindro e il semimanubrio sinistro) e il faro anteriore sinistro della malcapitata BMW 320 (maledette eliche bavaresi!).

Io vengo sbalzato, mi sento sparato verso l’alto, atterro di schiena sul guard rail e poi sulla strada. Resto fermo qualche secondo, poi mentre il guidatore della BMW mi si avvicina preoccupatissimo comincio a muovermi e mi rialzo a fatica. Una gran botta, ma sembra tutto a posto. Mentre dentro di me impreco per l’incredibile distrazione mi faccio aiutare a tirare su la moto e ad appoggiarla sul guard rail (non posso davvero sopportare di vederla stesa a terra, e come ho già detto il cavalletto mi aveva abbandonato salendo sul traghetto a Livorno), poi slaccio il cinturino del casco e il polsino del guanto sinistro, faccio per slacciare quello del guanto destro e mi accorgo che qualcosa non va: la mano sinistra non ha forza, non riesco a stringere e mi rendo conto che mi fa anche male.

Nel frattempo arrivano prima Sportanked (che sulle prime, vedendo me in piedi, il 1100 appoggiato al guard rail apparentemente intatto e la BMW con l’anteriore semidistrutto, ha creduto che mi fossi fermato a soccorrere un automobilista che era andato a sbattere per conto suo), poi la coppia su VFR bianca - Hornet nera (di cui non ricordo i nomi), che mi prestano i primi soccorsi. Tolgo il guanto, la mano è gonfia e mi fa male, mi sembra anche di vedere una strana protuberanza sul dorso. A malapena riesco a firmare la constatazione, poi via in ambulanza verso l’Ospedale di San Gavino Monreale, mentre la macchina dei soccorsi guzzisti si mette in moto: Enrico intorta il Maresciallo dei Carabinieri, sopraggiunti sul posto dopo che già mi avevano portato via, e lo convince a non fare rapporto, visto che ho già firmato la constatazione e i mezzi sono stati spostati (niente niente rischiavo la patente, o almeno qualche punto in meno); Livio arriva col suo provvidenziale furgone e porta a Is Arenas la moto (che altrimenti giacerebbe ancora in qualche sperduta officina della zona); più tardi, Piero, Enrico e Antonio vengono a recuperarmi al Pronto Soccorso, dove mi hanno già radiografato (secondo e terzo metatarso fratturati) e ingessato.

Al rientro a Is Arenas il concerto della GLBB è in pieno svolgimento, Goffredo mi presenta al pubblico in delirio come un eroe immolatosi per distruggere un’auto dell’odiata marca rivale bavarese e riesce perfino a strapparmi un sorriso (ma diciamo la verità, anche le massicce dosi di antidolorifico al mirto somministratemi da Enrico hanno avuto la loro parte nel farmi ritrovare il buonumore). Accenno perfino a partecipare al pogo selvaggio sulle note di “A message to you, Rudy”.

Finito il concerto, la notte non passa più, la mano mi fa male e un compagno di bungalow russa da paura.

 

La mattina dopo, mentre quelli che avrebbero dovuto essere i miei compagni di viaggio al ritorno partono verso Olbia, mi decido a andare a vedere in che stato è il Guzzone. Che dire? La botta l’ha presa, ma vedendo com’era conciata la BMW 320 non si direbbe neanche che siano rimaste coinvolte nello stesso incidente. Lo sterzo pare dritto, la forcella e la ruota pure; invece danni gravi a cupolino, serbatoio (che perde benzina) semimanubrio sx e cazzatine varie.

Livio si offre di portare col furgone fino a Olbia me e la moto (il che vuol dire che Lalla deve smazzarsi la strada lunga e noiosa fino al traghetto sul Griso), poi una volta a Livorno si vedrà. Ci fermiamo diverse volte e arriviamo a Olbia la sera, pizza al volo e ci imbarchiamo. Lalla e Livio mi ospitano pure nella loro cabina (io avevo solo il passaggio ponte), la mattina di lunedì siamo a Livorno. Qui Lalla e Livio, che già avevano meritato il titolo di beati ber avermi portato fin lì, conquistano sul campo anche il titolo di santi: visto che a Livorno non si sa dove lasciare la moto, portano me e lei fino a casa loro in quei di Padova (il che vuol dire che Lalla deve farsi tutta la strada in moto: e se quella in Sardegna, potendo, l’avrei fatta volentieri anch’io, l’autostrada Firenze - Bologna del lunedì mattina sono ben contento di averla fatta in furgone). Da lì torno in treno a Bergamo.

Riesco a farmi visitare e rifare le radiografie solo giovedì 25, e il medico che mi vede, a cui riferisco quello che mi aveva detto il suo collega di San Gavino (“Potrebbe anche essere da operare, ma fosse la mia mano la terrei così”), mi chiede se per caso a visitarmi era stato Capitan Uncino: i due metatarsi sono rotti malamente e scomposti, tocca operare.

Così da lunedì 29 maggio mi trovo con cinque belle viti (che mi terrò per sempre; speriamo almeno che siano di titanio) nei metatarsi, ho tolto il gesso il 14 giugno e solo adesso sto ricominciando a usare la mano (che comunque è ancora un po’ gonfia e rigida, tanto che solo da due o tre giorni riesco a toccare col pollice la punta delle altre dita) r.

 

L’altra notte, ho avuto un terribile incubo: ho sognato che i miei genitori, per guarirmi dalla pericolosissima sindrome guzzista, foriera di ripetuti infortuni (l’anno scorso mi sono rotto due metacarpi; a proposito, vi risulta che nel corpo umano ci siano altre ossa che si chiamano meta-qualcosa? speriamo di no …), mi avevano regalato una Honda CBF 600 (AAARRRGGGHHH! peggio della famosa Varadero-Vaderetro!), di cui nel sogno, tra sudori freddi, accarezzavo con orrore il cruscotto di dozzinale plastica nera.

È stato il segno che mi ha fatto capire che la convalescenza guzzista era finita, ed era ora di scrivere finalmente questo report (è dal raduno che non me la sono più sentita di scrivere, neanche sul forum, non avevo lo spirito giusto).

 

Concludo ringraziando tutti quelli che si sono sbattuti per realizzare quello che -incidente a parte- è sicuramente e di gran lunga il più bel raduno a cui ho mai partecipato, e tutti quelli che si sono prodigati per soccorrere me e il povero 1100.

Un grazie speciale a Piero, Enrico e Antonio che sono venuti a prendermi in ospedale, e soprattutto a Lalla e Livio che hanno stravolto i loro piani per il rientro a casa pur di non abbandonarmi al mio destino.

 

Andre1100Sport

 

 


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