Le moto di serie

- Griso 8v

- Norge 1200

- Airone 250

- Zigolo

- V7

- V7 Sport

- Le Mans

- Le Mans II

- California II

Nevada

presentazione

test

- Daytona

- V11 Le Mans 2002

- Breva

MOTO

 

 

 

Daytona 1000

...la genesi

 

di Roberto Masperi



Gli anni ’88-’89, per un guzzista come me di indole prettamente sportiva, furono l’inizio di un’avventura che, sebbene tra varie peripezie, ebbe il suo “lieto fine” nell’estate dell’anno 1992.
In quegli anni nell’ambito del mondo delle corse su strada stava nascendo un rinnovato fervore per un nuovo tipo di competizioni che utilizzavano motociclette derivate strettamente dalla serie e che facevano della spettacolarità e dell’incertezza sui risultati il loro punto di forza.
Ben presto anche in Europa si sviluppò un movimento analogo, culminante nel 1988 con la nascita del primo campionato internazionale di Superbike con moto derivate dalla serie, che anno dopo anno vide aumentare in modo esponenziale il suo gradimento presso il pubblico.
Inoltre accanto a questo campionato trainante nacquero anche altre categorie e competizioni minori che, sull’esempio delle varie serie americane, presero sempre più piede anche nel nostro paese.
Le due categorie che più si svilupparono, vuoi per i costi tutto sommato abbordabili che per la loro spettacolarità e libertà di regolamenti, furono la Battle Of The Twin (BOTT) e la Battle Of the Single (BOS). Per dirla in italiano la gara dei bicilindrici e dei monocilindrici.
In Italia si risvegliò di colpo la vena sportiva alquanto assopita degli appassionati dei due grandi marchi italiani produttori di bicilindrici: Moto Guzzi e Ducati. Da qui partì una sana rivalità che portò a competizioni e a campionati tiratissimi fra i vari preparatori dei due marchi, con vittorie ora di uno ora dell’altro fino agli ultimi anni, quando con l’ingresso in forma ufficiale della Ducati, forte dell’esperienza fatta nella Superbike, venne a mancare quell’equilibrio di forze in campo che è l’ingrediente principale per un campionato o una serie di successo.
Ma abbandoniamo il discorso generale, utile per inquadrare quel periodo storico del mondo delle corse, per parlare della Moto Guzzi e della nascita di quella fantastica moto che si chiamerà Daytona 1000.
La Moto Guzzi in quegli anni non è che se la passasse molto bene.
Dopo la sua grande crisi e conseguente amministrazione da parte dello Stato era stata rilevata dal finanziere Alejandro De Tomaso, che con l’acquisto anche della Benelli e della Innocenti aveva sì creato un grosso gruppo industriale ma che ai fini pratici non portò nessun vantaggio alla Moto Guzzi, sia a livello organizzativo che finanziario.
Ciononostante la Moto Guzzi sopravvisse e anzi tentò di rinnovarsi con l’introduzione di nuovi modelli che però si basavano sempre sul mitico ed indistruttibile bicilindrico due valvole dell’ingegner Carcano.
Nel frattempo negli Stati Uniti, durante la famosa settimana di gare che si svolgeva a Daytona sul celeberrimo anello stradale, incominciava a mettersi in luce un preparatore locale, tale John Wittner, un ex dentista con la passione per le corse e guarda caso appassionato della Moto Guzzi.
Da questo suo passato da “medico”, per tutti John divenne il mitico Dr. Jonh.
Con le sue moto e il suo ingegno sviluppò bolidi fantastici che vinsero gare e campionati nelle originali BOTT americane.
De Tomaso, anche lui personaggio alquanto particolare, si “innamorò” di questo ex dentista un poco strano ma geniale e vincente e oltre a finanziarlo gli diede da sviluppare un nuovo motore con testata a quattro valvole che nel frattempo in Moto Guzzi avevano messo a punto, pur tra mille difficoltà, e con un po’ di fortuna avrebbe dovuto essere la base per una nuova moto sportiva in grado di rilanciare il marchio Moto Guzzi.
Intorno a questo motore, che coniugava da una parte le dimensioni di un due valvole con la potenza di un quattro, Dr. John costruì una moto che più semplice ed efficace non poteva essere, applicandovi l'invenzione che aveva testato vittoriosamente nel BOTT: una struttura monotrave che passando in mezzo alla V creata dai due cilindri univa direttamente il canotto di sterzo con un traverso posteriore e due piastre che a loro volta reggevano il monoammortizzatore posteriore ed il forcellone. Una vera rivoluzione rispetto ai pur validissimi telai doppia culla delle serie “Le Mans”, che sicuramente creò un bel trambusto nell’ambiente guzzista. Ma senza addentrarci troppo in descrizioni tecniche dirò che la moto, ben condotta dal pilota americano Doug Braunek, si mise subito in luce nelle serie americane riservate alle bicilindriche e sopratutto nelle gare disputate sul mitico catino di Daytona che avevano una grande cassa di risonanza anche in Europa. Fù così che nell’anno successivo, il 1989, De Tomaso decise di invitare in Europa il piccolo team del Dr. John per dimostrare anche qui da noi le sue capacità e quelle della moto. Dall’America John portò oltre alle moto il pilota Braunek, alcuni meccanici e tutto il suo entusiasmo a cui si aggiunsero come appoggio il figlio del presidente De Tomaso, Santiago e Maurizio Valli, persona che per capacità tecniche ed umane era il giusto collante tra la fabbrica, il mondo guzzista italiano ed il Dr. John. Fu scelta per il debutto una manifestazione che era nata in quegli anni sullo storico circuito di Monza: la Due Giorni Internazionale, ottimamente organizzata dal Motoclub Inverunese. A queste gare partecipavano personaggi di spicco provenienti da tutta Europa che si sfidavano in varie categorie di competizioni.

La Daytona al box prima della gara: all'opera John Wittner

Doug Brauneck si schiera in prima fila


Il clou della manifestazione era comunque, sulla falsariga delle serie americane, la Battle Of The Twin. In gara c’era anche l’ex campione del mondo della 500 Marco Lucchinelli alla guida di una Duicati 851 ufficiale, moto che già cominciava a farsi apprezzare nel sempre più importante campionato Superbike e che per le sue prestazioni rispetto alla concorrenza era considerata da tutti su un altro pianeta; come di un altro pianeta erano la capacità organizzativa e i mezzi a disposizione del team della casa bolognese.
Sebbene attratti ed incuriositi dal nome del Dr. John, nessuno considerava seriamente la piccola Moto Guzzi. Fu così che il venerdì antecedente la gara iniziarono le prime prove libere in cui il “rosso” pilota Brauneck cominciò a familiarizzare con la tremenda pista di Monza che non aveva mai visto prima e che non era ancora stata rovinata del tutto nelle sue forme da quei totalitaristi della Formula Uno con le loro assurde chicane e curve modificate per adattarle alle loro esigenze.
Allora la pista era una di quelle toste e la cartina di tornasole con cui si evidenziavano le doti di ogni buon pilota e le capacità della moto era la seconda curva di Lesmo.
Solo pochi piloti erano in grado di percorrerla in pieno.
In quelle prove libere si capì che a farlo, oltre al mito Marco Lucchinelli, c’era un solo altro piccolo pilota con la tuta bianca, la moto bianca e rossa ed un cuore grande così: Doug Braunek e la sua Moto Guzzi!

Il piccolo team diretto dal Dr. John girava al meglio all’ombra di un’anonima tenda nel vecchio paddok dell’autodromo di Monza. La moto veniva revisionata e regolata direttamente da John coadiuvato dai meccanici e dal compianto Maurizio Valli, mio grande amico.
Conservo ancora gelosamente un pneumatico posteriore usato da quella moto e che Maurizio mi regalò all’indomani di quella gara!
Fu così che nelle prove ufficiali Marco Lucchinelli, dall’alto della sua bravura, staccò la pole-position con un giro strepitoso sul piede dei due minuti, un gran tempo per l’epoca. Ma Braunek non gli fu da meno venendo distanziato solo di pochi centesimi e conquistando così il secondo posto in griglia, un eternità davanti a tutti gli altri.

Ultimi consigli prima del VIA!

Doug e la Daytona in testa alla gara


Avreste dovuto vederlo a Lesmo, con la moto praticamente sdraiata per terra ed il gas tutto aperto! Sicuramente Lucchinelli non se l’aspettava è c’è una foto emblematica scattata sulla griglia di partenza in cui dalla sua posizione in pole guarda incuriosito quel pilota e quella moto e sembra dire: “ma chi sono questi?!?”
La gara partì con Lucchinelli subito in testa con un paio di secondi di vantaggio sugli inseguitori. Braunek non partì benissimo e si trovò un po’ bloccato da avversari più lenti di lui, ma dopo pochi giri cominciò a carburare e a macinare avversari girando sui 2’01”, un passo incredibile per l’epoca!
Col proseguire della competizione anche Lucchinelli non poté resistere più di tanto e già a metà gara la Moto Guzzi era sola al comando, irraggiungibile da chiunque, anche perché nel frattempo la Ducati di Lucchinelli si era dovuta ritirare. Già io e tutti i guzzisti sognavamo ad occhi aperti una vittoria che che chissà quali scenari avrebbe potuto aprire su Wittner, la Moto Guzzi e le sue nuove moto sportive, quando accadde l’imponderabile. Un banale guasto elettrico, la rottura di un cavo candela, portò al ritiro Braunek e la sua Moto Guzzi da una gara praticamente vinta. Fu una delusione fortissima, solo in parte mitigata dal vedere il Team e lo stesso Dr. John ricevere i complimenti da tutto il paddok di Monza, avversari compresi. In ogni caso la moto una coppa la vinse, quale miglior novità tecnica e prestazionale della manifestazione. Dr. John aveva comunque trionfato ed io ne ero felice.

Al box, dopo la sfortunata corsa, con la coppa per la migliore novità tecnica

Grandissimo Doug!


Ancora oggi, se penso che a quell’epoca Ducati e Moto Guzzi erano sullo stesso piano e guardo dov’é oggi la Ducati mi domando dove sarebbe potuta arrivare anche la Moto Guzzi se avesse avuto la possibilità di sviluppare un progetto che purtroppo, per vari motivi che non voglio elencare, non ebbe la fortuna di essere portato avanti nella giusta misura; peccato.
Dopo questa gara seguirono poche altre saltuarie esibizioni, ma probabilmente la non florida situazione economica e finanziaria della Moto Guzzi tarparono le ali ad un team e a delle moto che con il giusto appoggio tanto avrebbero potuto dire nel panorama sportivo motociclistico dell’epoca. Queste gare però un merito lo ebbero: creare nella dirigenza Moto Guzzi la volontà di mettere in produzione una replica di queste moto, che nel bene e nel male avevano creato soprattutto nell’ambiente guzzista l’aspettativa di una sportiva all’altezza della concorrenza.

1989, Salone di Milano: presentazione della replica Daytona

Per ora è un sogno...

Il prototipo viene presentato anche a Mandello

Alcuni particolari del motore e il forcellone, in fabbrica a Mandello


Al salone del Ciclo e Motociclo del 1989, infatti, fu presentata una fedele replica della moto ideata dal Dr. John con l’inedito motore a quattro valvole, che subito fra l’entusiasmo della gente fu eletta reginetta del salone, accendendo sulla Moto Guzzi e sul suo nuovo prodotto i riflettori della stampa specializzata che spesso aveva snobbato e criticato l’operato della casa di Mandello.
Per me fu l’inizio di un calvario fatto di attese e di aspettative andate deluse. Difatti io, come tanti altri, ero pronto ad acquistare quella bellissima moto anche il giorno successivo alla chiusura del salone, ma purtroppo, come ci ha ben abituati la Guzzi, per vari motivi la produzione veniva ritardata sempre più.
Dovevano passare almeno altri due anni e mezzo prima di riuscire a venire in possesso della mia Daytona 1000. Eh sì, era quello il nome dato a quella fantastica moto che turbava i miei sonni di guzzista sfegatato.
La moto, prima di venir industrializzata e quindi prodotta, subì tutta una serie di modifiche sia di carattere tecnico che estetico che la portarono ad avere una nuova veste rispetto al primo prototipo visto al salone di Milano del 1989. Le modifiche più vistose furono quelle estetiche. All’inizio la moto aveva una carena integrale, un codino minimalista ed una colorazione bicolore bianca e rossa che richiamava molto da vicino l’aspetto della moto da corsa.
Questa veste però, probabilmente, non permetteva di alloggiare sulla moto tutto ciò che serviva al mezzo di serie per poter circolare e superare i vari test d’omologazione. Si passò così nel giro di un paio d’anni di sperimentazioni (con buona pace di noi guzzisti che fremevamo nell’attesa) ad una rivisitazione di tutte le carene della moto che ne modificarono l’aspetto, migliorandolo (per fortuna) e modernizzandolo. Fu così che nel 1991, durante una visita alla fabbrica della Moto Guzzi, il Dr. John in persona ci fece vedere il prototipo in veste definitiva con la nuova semicarenatura e l’abbondante codone monoposto.

La versione definitiva, a Mandello nel 1992


Non dimenticherò mai quei momenti: la moto era bellissima ed io la rimiravo mentre Wittner, con il suo italiano strampalato, ce ne illustrava le caratteristiche. Eh sì, per lui era una sua creatura che aveva visto crescere e svilupparsi in anni di duro lavoro. Anche per noi quella moto sembrava già nostra, con tutto quello che ci aveva fatto passare e per quanto l’avevamo desiderata. Ma ora era lì, con quella sua bianca colorazione in attesa di diventare rossa come tutte le Guzzi che si rispettino e noi avevamo dimenticato tutto il passato!
Anche a livello meccanico ci furono dei cambiamenti. All’inizio si cercò di sviluppare la versione a carburatori; difatti i primi prototipi così erano alimentati, ma in seguito questa soluzione fu abbandonata in favore dell’iniezione, che in quel periodo cominciava a prender piede anche nelle moto facendo intravedere tutte le potenzialità che un motore con questo tipo di alimentazione poteva dare. Furono rifatti completamente anche l’impianto di scarico e la scatola filtro migliorando la respirazione del motore e le sue prestazioni, pur rimanendo nei vincoli imposti dai test di omologazione. Seguirono altre piccole modifiche in vari particolari fino a quando, a metà del 1992, furono consegnati i primi esemplari di questa fantastica moto, a tutt’oggi la capostipite delle Guzzi sportive ancora in produzione.

Il coronamento di un sogno

L'elaborazione finale


Fu una soddisfazione immensa entrarne in possesso ed ancor più poterla utilizzare come una sportiva di razza senza timore reverenziale nei confronti di nessuno.
Quante soddisfazioni mi ha dato questa moto, sia per strada che su pista e che base robusta e sincera è stata per le successive elaborazioni ed incrementi di prestazioni operate dai vari preparatori, come ad esempio il mitico Bruno Scola…
Ma questa è un’altra storia... se fate i bravi un giorno ve la racconterò!

A Monza in pista

 

A MAURIZIO VALLI DOPO 10 ANNI
Nulla è cambiato
La fantasia corre ancora a due cilindri
quattro otto valvole nel cuore
e l'aquila sempre lì, davanti agli occhi
Il tuo sorriso sotto i baffi...
tutto è come sempre sarà
come vuoi tu Maurizio
e Luca e Fulvia
I tuoi amici

 

© Anima Guzzista